Partiamo con il descrivere il significato della parola fotografia: essa deriva dall’unione di due parole greche: foto (phos) e grafia (graphis) che significa, per l’appunto,  “disegnare con la luce”.

 

La luce che percepiamo è solo una parte dell’ampio spettro elettromagnetico: il nostro occhio è sensibile solamente ad una parte di esso, per la precisione tra le lunghezze d’onda che vanno dai 400 ai 700 nm (nano-metro). In sintesi, quando una fonte luminosa emana tutte queste lunghezze d’onda è detta “Luce Bianca” senza colore, mentre se ne sono presenti solo alcune siamo in presenza di “Luce Colorata”.

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Parlando dell’occhio umano: esso ha tre tipi di ricettori, sensibili alla banda del blu, del verde e del rosso. Se stimolati in modo uguale, sta a significare che la luce è "equilibrata" e l’occhio interpreterà come grigio neutro o bianco, mentre se la luce è “sbilanciata”, ovvero contiene più onde di un certo tipo, avremmo una dominate di colore, come per esempio la luce di un tramonto, che tutti ben sappiamo essere arancione.

Sicuramente questa breve descrizione scientifica è interessante, ma ora cerchiamo di capire come la luce possa far nascere un’immagine.

 

 

Per questo, ci viene in aiuto il vecchio e caro ”Foro Stenopeico” che, se pur molto rudimentale, ci fa ben valutare come avviene la creazione. Non è un apparecchio fotografico moderno ma è alla base del suo principio di funzionamento.

 

 

Se frapponiamo fra un soggetto illuminato e un foglio, un pannello opaco con al centro un piccolo foro che convoglierà i fasci provenienti dal soggetto, sul cartoncino si andrà a creare “un’immagine” molto approssimativa e rovesciata rispetto alla realtà. È grazie a questo foro “convogliatore” che si evita che la luce riflessa dal soggetto si propaghi in tutte le direzioni andando quindi a creare un primo “rudimento di immagine”.